Perché poi uno dice i Clash… Finivano gli anni ’70, quelli che in Italia abbiamo chiamato anni di piombo, quelli come me nati a metà dei sessanta, erano neonati o poco più nel’68 e bambini nel ’77, insomma ci siam persi tutta la “vitalità” sociale di quel periodo. In quel 1979 in Italia si respirava già aria di disimpegno: stavano arrivando gli anni ’80, quelli che ci avrebbero trascinati nel vortice del liberismo sfrenato: io iniziavo le scuole superiori e sebbene la spilla del Che brillasse sulla sacca in cui portavo i libri, si avvertiva tangibile il cambiamento in corso nella società. Giocavo a basket da qualche anno e le mie amicizie gravitavano attorno al campetto di San Giorgio e alla palestra delle scuole medie di Chievo: la mitica Fainelli. Il Pisci, aveva un anno più di me, un fratello più grande, Michele, e ascoltava della gran musica oltre ad essere un grande compagno di squadra e un caro amico; mi passò in rapida successione il primo vinile dei Police, 4 way street di Crosby, Stills, Nash & Young e London Calling dei Clash: tre dischi meravigliosi, ma con Joe Strummer e soci fu davvero un colpo di fulmine: via a cercare i testi da tradurre e calli sulle dita per provare a riprodurre sulla chitarra le canzoni del disco. L’urgenza di comunicazione tipica del punk e i temi trattati dai testi, facevano passare in secondo piano la qualità grezza della proposta musicale. E la rabbia punk era ben rappresentata dalla, fantstica, immagine di copertina!!

SZ