I Poeti Maledetti francesi sono stati uno degli argomenti del mio, brutto, esame di maturità… erano un tema che conoscevo bene, essendone stato affascinato fin dalle scuole medie, eh si perché alle Medie ho avuto la fortuna di incrociare un professore di italiano, tale Raffaello Zaninelli, che in barba ai programmi e alle consuetudini anche dei maledetti d’oltralpe, come li definì Verlaine, ci parlava… Tutto sommato Verlaine, Mallarmé e Rimbaud contribuirono al conseguimento di quell’immeritato 39/60, del perché immeritato avremo occasione di parlare più avanti…
Bando alle ciance e ai racconti scolastici, anche se vorrei chiedere agli studenti di oggi in terza media se sanno chi sono i “poeti Maledetti”, mah… comunque banalizzando un po’ possiamo dire che fu la raccolta di poesie di Charles Baudelaire “i Fiori del Male” ad aprire la stagione dei poeti maledetti: immaginateli un po’ come delle Rockstar ante- litteram: vite travagliate e dissolute, eccessi, stupefacenti, spleen (nostalgia amara) a fiotti, assenzio, tutti questi ingredienti nei componimenti poetici li ponevano, consapevolmente, ai margini della società dell’epoca ben rappresentata dalla “dicotomia osmotica” (perdonatemi) dei vizi privati e delle pubbliche virtù.
Ed è propio Baudelaire, o meglio la sua tomba, al centro del poema di oggi e a rappresentare la poetica dei Maudits, Mallarmé infatti la descrive con immagini forti, a tratti addirittura lascive e immorali per il sentire comune dell’epoca (e probabilmente anche per qualche sentire a noi contemporaneo), ma è propio in questa volontà di mettere l’immagine forte, volgare al centro del componimento poetico a descrivere nella loro forma più intima gli appartenenti a questa corrente poetica. Buona lettura

Stephané Mallarmé – La tomba di Charles Baudelaire
Il tempio seppellito divulga dalla bocca
Sepolcrale di scolo bava fango e rubino
L’abominio di qualche idolo Anubí, rossa
Fiamma su tutto il muso come un urlo ferino
O che il recente gas torca losca la luce
Raccogliente si sa ogni subìto obbrobrio
Un immortale pube esso raccende truce
Il cui volo al riverbero muta dal letto proprio
Qual fronda inaridita in città senza sere
Benedire potrà com’ella rimanere
Inutilmente contro il marmo di Baudelaire
Al velo che la cinge assente abbrividendo
Quella sua Ombra stessa tutelare veleno
Sempre da respirare se d’esso periremo.
SZ