Devo essere sincero, pur riconoscendo loro infiniti meriti nella divulgazione di un certo tipo di musica e anche di un certo “way of life” negli anni ’60, I Beatles non sono mai stati la MIA band preferita. Li ascoltavo, ovviamente, da ragazzino, strimpellavo Let it Be e Michelle alla chitarra, ma se dovevo mettere un disco sul giradischi, beh preferivo di gran lunga gli Stones e il loro rhythm & blues, o addirittura i Creedence Clearwater Revival, mentre nel frattempo mi invaghivo, in pieni anni 80 delle nuove sonorità post punk, con i Cure e i Joy Division a girare in heavy rotation sul mio stereo. Poco tempo per i Beatles, ma qualche anno dopo, un po’ più maturo e attento ai dettagli musicali, recuperai in fretta il rapporto con i quattro di Liverpool.
La verità è che ascoltandoli attentamente ci si accorge che quella Musica lì (maiuscola non casuale) prima di loro non l’aveva suonata nessuno… troppo blues gli Stones e gli Yardbirds, troppo pop i Kinks che all’epoca rivaleggiavano con i Beatles in popolarità nell’Inghilterra degli anni ’60. Già con i primissimi lavori, i quattro avevano mostrato di essere qualcosa di diverso dal prima e paradossalmente anche dal dopo. A HARD DAY’S NIGHT nel 1964, in piena Beatlemania, sarà il primo capolavoro, tra l’altro interamente scritto da Lennon e McCartney, l’unico nella loro discografia; è però con il successivo RUBBER SOUL che i Beatles getteranno il ponte che li porterà dal beat degli esordi alla psichedelia derivante dalle jam con Bob Dylan e Elvis Presley, lascindosi alle spalle una quantità di brani canticchiati da molti e con davanti opportunità illimitate. Che non si lasceranno scappare.
REVOLVER, il nostro disco di oggi, pubblicato nell’agosto del 1966, è il passaggio definitivo dei Beatles nella loro era psichedelica: fino ad allora territorio inesplorato per la maggior parte dei musicisti. E’ un disco epocale, nelle primissime posizioni di ogni classifica all time, Addirittura primo in quella redatta, non poco a sorpresa da… L’Osservatore Romano, organo della Santa Sede. Decisivo il contibuto al disco di un George Harrison in stato di grazia, ma tutta l amcchina gira a dovere. Un supe album, da scoprire o riscoprire senza indugi. Buon Ascolto!

SZ