Oggi uno strappo alla regola che forse, vi farà piacere: due poesie anziché una sola, così facendo magari mi taglio la possibilità di un altro articolo, ma credetemi, ne vale la pena.
oggi diamo spazio ad una poetessa italiana, Stefania Crozzoletti, veronese, classe 1966. Conosco Stefania dai tempi delle scuole superiori, è una della Cricca di cui ogni tanto parlo nei miei sproloqui sul blog, ne conosco il disincanto e contemporaneamente la sensibilità, negli anni ne ho apprezzato i silenzi e gli slanci, la rabbia e la dolcezza. Un’Amica, di quelle che incontri ai concerti estivi, magari dopo tanti mesi senza vedersi, senza darti appuntamento, ma semplicemente perchè condividi lo stesso tipo di musica (soprattutto un’insana passione per i Pixies del disco del giorno di oggi), una di quelle che a cinquant’anni va ai concerti con la figlia, perchè dentro, in fondo, in fondo è rimasta la bassita, dark-punk-rock o che so io di quando aveva 18 anni. E questo me la fa stimare ancora di più.
Se a questo si aggiunge che uno dei suoi mentori poetici, avendo scritto la prefazione del suo primo libro di poesie, Prima Vita, è Francesco Tomada, poeta di cui avete letto su queste pagine, nochè testimone delle mie nozze e amico fraterno, potete immaginare con quale trepidante emozione mi sia accostato alla lettura dei suoi scritti. E come questi scritti non mi abbiano assolutamente deluso, anzi.
ho deciso di presentare due poesie, la prima è tratta da Prima Vita del 2009, mentre la successiva proviene dalla seconda pubblicazione di Stefania, intitolata poco prima della guerra del 2013. Avremo così la possibilità di guardare all’evoluzione della scrittura della poetessa, che perdonatemi il paragone musicale si sviluppa sempre come fosse la trama di un basso, poche rime per pochi assoli, ritmo costante, pochi funambolismi ma una solidità della prosa che ingloba il lettore nella lettura della poesia che prende spunto sempre da aspetti di vita davvero minimi, eppure assolutamente consapevoli del proprio essere e della propria condizione.
Come afferma Francsco Tomada nella prefazione di Prima Vita: “L’autrice non si propone mai come portavoce di nessuno, sa bene che i percorsi sono individuali e, per una umiltà che deriva forse dalla propria insicurezza, fugge da ogni ruolo che non sia quello di rappresentare se stessa. Ma proprio in questa umiltà, in questa insicurezza la sua scrittura passa dal semplice raccontarsi, al raccontare dal punto di vista di chi, in sè, non ha ancora trovato la voce adatta.” Ecco, Stefania è questa, esattamente come l’ho sempre vista, prima con gli occhi dell’adolescente, oggi con gli occhi navigati e i capelli bianchi, se stessa, nel suo essere e ovviamente, nelle sue poesie, che vi lascio qui augurandovi buona lettura.
Ho un solo rammarico, quando l’ho contattata per chiedere il permesso di scrivere quattro parole sulle sue poesie, Stefania mi ha detto che non scrive poesie da molto tempo, mi auguro, e le auguro di cuore, sia solo una pausa temporanea…

STEFANIA CROZZOLETTI – (NON SONO UN) POETA
Se volgo lo sguardo al cielo,
non vedo soffici cuscini
dove gli Dei posano
mollemente il capo
Vedo nuvole
Non vergo sonetti
non torturo le rime
il nuovo verso inizia
se lo decreta il respiro
Seguo il ritmo
dello stomaco
non sono intrattabile
ossuta canuta dannata
non declamo versi
al calar del sole
La mia biblioteca
una parata di colori
orizzonti verticali diagonali
dimensioni, buoni consigli
criteri certamente poco letterari
Non sono un poeta
mi limito a spazzare
di tanto in tanto l’anima
occupo uno spazio ridotto
poco più di un vaso di fiori
poco meno di un cassonetto
STEFANIA CROZZOLETTI – CANTO SENZA SPARTITO

A Laura stanno ricrescendo i capelli, ha il sorriso bello,
gli occhi lucidi e scuri: “non ero preoccupata per me,
pensavo piuttosto ai miei figli”.
E’ così che dovremmo essere, roccia e sempreverde insieme.
Ci attacchiamo alla vita quando sfiancata oscilla e minaccia
di cadere a terra come un frutto maturo,
non vogliamo perdere nemmeno un grammo di possibilità,
perché se tutto finisce, s’interrompe il canto
e abbiamo bisogno delle note finali
per applaudire l’orchestra.
Arrivano da fuori le braccia che mi riprendono,
sono bambini che cantano senza spartito.
SZ