Nel canalone – Racconto breve di Stefano Zorzi

NEL CANALONE.

Lunedi, 9 febbraio 1998 – San Martino di Castrozza

Il dolore non è nemmeno così forte, so che mi son rotto una gamba in più punti, ma non mi fa male. Oppure non lo sento, il male. La paura lo attenua. Sto scivolando da non so più quanti secondi, ho lo zaino attaccato alla schiena, ma non ho in mano la piccozza, che è agganciata allo zaino tramite la fettuccia rossa, e devo stare attento che se mi becca in testa… che cavolo di situazione…la gamba in posizione innaturale, adesso si mi lancia fitte intermittenti e dolorose. Ogni sobbalzo è un incubo, passo in mezzo ad una moltitudine di rami e sassi sporgenti e alberi, che non so per quale arcano motivo, sto evitando…. Cazzo, continuo a scivolare, sempre più giù in questa val Bonetta, con il Colbricon che mi guarda severo dall’alto, quasi  a rimproverarmi del guaio che sto combinando… Chissà Marco e Alfredo, lassù in alto, almeno quattrocento metri più su, dove quel pezzettino di neve marcia si è staccato, facendomi scivolare, cosa staranno pensando…magari credono che sia morto… e Stefania e il piccolo Nicolò che son giù a San Martino… i pensieri più atroci mi scavano dentro, scivolo ancora, evito ancora alberi e cespugli come mi guidasse una mano invisibile, ma sto rallentando…forse me la cavo… forse riesco a raccontarla sta maledetta avventura… che per essere il primo giorno di settimana bianca, comincia veramente di merda…. Però adesso sono quasi fermo, sono talmente concentrato sul fatto di essere vivo, che quasi non mi accorgo di essere ormai fermo. La gamba è girata in una posizione innaturale e pulsa e mi fa male, cavolo se fa male… sono giù in basso nella valle ben lontano dal sentiero che scende dai laghetti di Colbricon dove siamo passati questa mattina prima del disastro e che avrebbe dovuto riportarci praticamente di fronte a casa. Sono stranamente lucido e preoccupato per i due la in alto, che grande esperienza di uscite invernali non hanno… non riesco a girarmi completamente col busto ma alzo una mano per segnalare, almeno spero, che vivo son vivo, malconcio ma vivo… ho strappato i pantaloni rossi nella scivolata e fa un freddo cane… ho  lo zaino, però e dentro c’è da mangiare e il  telo termico, mi muovo bruscamente e la gamba mi richiama alla realtà… o ti vengono a prendere o qui ci rimani… l’orologio si è rotto cadendo e stimo possano essere le dieci, dieci e mezza al massimo… che cavolo di situazione: sai che può succedere, ma non pensi mai che possa succedere a te, e invece eccomi qua: sono in fondo ad una valle alpina, quattrocento metri sotto i miei compagni di gita e a qualche kilometro dagli impianti di Malga Ces. Come trasformare un lunedì di divertimento in un mezzo incubo, meno male che il tempo è buono, almeno quello non da problemi. I problemi, e grossi, sono altri: sono in ombra e siamo sicuramente ben sotto lo zero, il sole qua arriva solo nel tardo pomeriggio a causa della conformazione della valle e dell’altipiano delle Pale di San Martino che sono ad est rispetto alla mia posizione. Sono certo al cento per cento che in questa posizione, il telefonino che è nello zaino, sia del tutto inutile, c’è poco campo in paese, figuriamoci qua. Mi muovo con circospezione, cercando di non muovere la gamba destra, il freddo aiuta e mitiga il dolore; chissà se i ragazzi stanno scendendo, 400 metri, un’ora dalla scivolata. Mi è sembrata infinita, ma sarà stata di qualche minuto al massimo. Se ci ripenso l’ho davvero scampata bella con tutto quello che ho incrociato nel percorso. Forza Stefano, devi coprirti e mangiare, non farti influenzare dai cattivi pensieri: togliti lo zaino e usa l’attrezzatura, l’hai portata per queste situazioni qua! Togliere lo zaino da stesi non è facile, mi muovo in maniera strana e il dolore alla gamba è lancinante… però piano piano sfilo il braccio destro ed è quasi fatta… ok ci sono, guardo nella tasca in alto e, come previsto, il telefonino è inutile, però tolgo dallo zaino il telo termico e un panino e il thermos del the che è ancora bello caldo. Il tepore della bevanda e il panino con la mortadella, mi rasserenano un po’, provo a girarmi verso sinistra dove scende il sentiero per vedere se riesco a scorgere Marco e Alfredo, ma sono troppo in basso, non vedo ne sento niente. Cazzo! Stare qui senza poter contattare nessuno, mi innervosisce, ma non è il caso di incazzarsi, meglio provare a rimanere calmi. Col binocolo punto a sud e vedo gli impianti di Malga Ces, sono più in basso e non di poco, penso che li magari ci sono i Carabinieri addetti al servizio piste, ma come li raggiungo? Nonostante il telo termico, il cibo e il the sento freddo, la gamba mi fa male sia in basso verso la caviglia, che in alto verso il ginocchio e adesso il freddo non lo lenisce più il dolore… boh, chissà cosa succederà… spero sempre in Marco e Alfredo che staranno scendendo, ma comincio a perdere la cognizione di quanto tempo è passato e anche tutte le botte prese scivolando cominciano a farsi sentire… boh, speriamo bene… il sole è alto quindi credo sia passato da poco mezzogiorno o giù di li, mi giro a guardare la valle alle mie spalle e ancora non mi capacito di come io possa essere arrivato li praticamente incolume, se si esclude la frattura che è avvenuta in alto, proprio all’inizio della scivolata.. davvero mi pare impossibile non essermi fatto di peggio o addirittura il “peggio”.  Bevo un altro sorso di te, mentre il dolore monta, inesorabile… forse mi assopisco anche un attimo, ma poi sento finalmente le voci dei miei compagni di gita che mi stanno chiamando… meno male, dai, adesso è solo questione di tempo. Ormai Marco e Alfredo, sono sopra di me, mollano il sentiero e scendono giù nella valle, un quarto d’ora e siamo riuniti, spaventati, ma riuniti. Certo io non posso muovermi e non posso essere trasportato in queste condizioni, cosi si decide che loro scendano verso malga Ces, avvisino i carabinieri o gli addetti agli impianti e contemporaneamente portino la notizia a Stefania che è giù in paese, ignara di tutto con sua madre e Nicolò, e ci aspetta di ritorno dalla gita. Altro che gita: i ragazzi mi sistemano un po’ mi coprono, mi lasciano un po’ di roba da mangiare e partono verso Malga Ces, sono le tredici e quaranta, abbiamo ancora tre ore scarse di luce, so, perché lo so dal primo istante, dalla frattura,  di essermi rotto tibia e perone, maledetto pezzo di neve che si è staccato e maledetto rampone che ha fatto prima presa, poi leva e mi ha spezzato la gamba! E stupido, incredibilmente stupido io, per non essermi prima messo in sicurezza. Inutile piangere sul latte versato. Marco mi chiede se sono certo di voler rimanere qui da solo, e io lo esorto ad andare che fra poco fa buio. Si volta a guardare, anche lui incredulo, la striscia sulla neve che racconta la mia scivolata e poi si avvia, verso il sentiero che io spero brevissimo, ma lo so che non è breve. Adesso sono sistemato meglio, ho quello che mi serve a portata di mano, sono coperto, ho cibo e the caldo a disposizione, si tratta solo di aver pazienza e di non pensare troppo! Già ma come faccio a non pensare al dopo: siamo ad inizio febbraio, dieci giorni fa ho rassegnato le dimissioni dall’azienda in cui lavoro e al dieci aprile dovrò presentarmi dal mio nuovo datore di lavoro, con il quale peraltro c’è si un accordo di massima, ma nessuna firma. Dio santo, non dovrei neanche essere in ferie, sono in periodo di preavviso, madonna santa che disastro. Nel frattempo, assurdo, mi sto preparando a dare la notizia ai miei, mia mamma, sempre iperprotettiva e scossa dalla notizia del cambio di lavoro, mi ha salutato domenica mattina con il classico “mi raccomando, non fatevi male…”. Eccola la, adesso some glielo dico? Avverto nettamente che l’adrenalina in circolo sta calando, ma assopirsi adesso, con questo freddo (-8°) non è una buona idea, si ma come lo faccio passare il tempo? Ad ogni minimo movimento la frattura mi fa sentire dei dolori lancinanti, ormai l’arto è raffreddato completamente e la sensibilità altissima, ogni piccolo movimento mi costa dolore. Penso che verranno a prendermi con l’elicottero, mi guardo attorno e mi rendo conto che sono nel punto più stretto del canalone che chiude la val Bonetta, ce la farà l’elicottero? Riuscirà ad arrivare fin qua? Mi dovranno spostare? Quanto mi farà male spostarmi? Mentre mi faccio tutta ‘sta serie di domande vedo delle persone che stanno risalendo la valle, prendo il binocolo per vedere meglio e mi rendo conto che è Marco, con lui non c’è Alfredo che immagino abbia proseguito verso casa, ma c’è un Carabiniere. Dai stanno arrivando, forse me la cavo.

Nel giro di venti minuti mi raggiungono, e io mi metto a ridere nervosamente perché mi rendo conto che il carabiniere ha fatto tutta la salita da malga Ces con gli scarponi da sci, mentre lui si stupisce del fatto che pur così malconcio io abbia voglia di ridere. La risata è di puri nervi, perché ormai oltre al dolore della frattura mi fa male tutto, vuoi la posizione, vuoi il freddo vuoi le botte prese. Il carabiniere munito di radio avvisa il Soccorso Alpino e chiede di inviare un medico con l’elicottero. Sono le quattro e comincia ad imbrunire, ma c’è ancora luce sufficiente, passano una decina di minuti, nel frattempo Marco è ritornato sul sentiero e comincia a scendere verso San Martino. Il Carabiniere conferma via radio la mia posizione e mi dice che nel giro di dieci minuti i soccorsi dovrebbero arrivare. L’adrenalina comincia a scemare e sono sempre più nervoso, ogni piccolissimo movimento mi crea davvero un gran dolore. Poi sento avvicinarsi l’elicottero e penso che fra poco sarà tutto ok, magari non mi son fatto tanto male e me la cavo velocemente, magari Stefania lo sa già, no è impossibile, Alfredo non può essere già arrivato, ma magari adesso il medico mi dice che non è niente. Lo so che mi illudo, quando guardo la gamba in posizione innaturale, il dolore aumenta. L’elicottero si avvicina, ma la valle è stretta, non ce la fa ad atterrare come temevo, fa scendere comunque il medico, un volontario del Soccorso e una barella. Il medico mi chiede come sto e io rispondo che a parte la gamba fratturata in due punti, mi fa male tutto. Lui sorride e poi mi chiede come ho fatto a farmi male sul piano, col barlume di lucidità che mi rimane gli indico il canalone e gli faccio notare la striscia della mia scivolata. I due si guardano e quasi in coro mi dicono che mi è andata di lusso, davvero di lusso. Nel frattempo con circospezione il medico prova ad immobilizzare la gamba. Gli dico che so che deve farmi male e faccia quello che deve, poi immediatamente dopo il suo movimento lancio un urlo di dolore belluino e scoppio in lacrime a dirotto. Non lo so se sono svenuto, credo di no, ma all’improvviso mi trovo sulla barella e sono a dieci centimetri dal pattino dell’elicottero che non riesce ad atterrare, poi in un lampo siamo tutti e tre a bordo. Il medico mi chiede come va, ma io non gli rispondo: ho mille pensieri in testa. Sento il pilota avvisare l’Ospedale di Feltre che fra 10 minuti saremo là, che sta arrivando una sospetta frattura di tibia e perone, ma nel frattempo il velivolo scende di quota e atterra nello spiazzo davanti alla casa dove alloggiamo io, Stefania, Nicolò, Alfredo e mia suocera! Che beffa, li abbiamo guardati così tante volte atterrare li gli elicotteri del Soccorso, sperando sempre che i feriti a bordo potessero cavarsela, oggi a bordo ci sono io, Stefania non credo sappia ancora nulla, magari è li a guardare l’atterraggio e non pensa sia io il ferito, ma che cazzo ho combinato, guarda che situazione assurda…  dopo aver lasciato il volontario ripartiamo, in un viaggio lampo che a me sembra durare ore siamo a Feltre. Vengo accolto in ospedale, spogliato con dolori atroci alla gamba, mi mandano in radiologia, attesa infinita, con la gamba che duole da impazzire e le botte sparse che si fanno sentire eccome. Faccio le radiografie, ma non mi dicono nulla, mi portano in reparto e mi assegnano un letto, son li da dieci minuti quando arriva Stefania e scoppiamo tutti e due in un pianto disperato e liberatorio. Con lei ci sono Marco e Alfredo, io son più di qua che di là e davvero di quei momenti ricordo poco: solo le parole del medico che ci dice che è una brutta frattura scomposta, che si dovrà operare e che potrà dire qualcosa di più dopo che la frattura sarà stata riallineata. Ormai è sera, mi somministrano un po’ di pasticche e anti dolorifici vari e, salutati i miei cari, cado in un torpore profondo ma vigile, lo so che sembra assurdo, e penso che tutto sommato mi è andata bene, benissimo. Sono ancora qua e ho rischiato la pelle!!

Domenica 15 febbraio 1998 – Feltre

E’ passata una settimana, la frattura è stata riallineata e poi ridotta chirurgicamente con mezzi di sintesi, mi rimarranno per ricordo 36 punti nella gamba destra. L’ortopedico che ha ridotto la frattura ha elencato un sacco di cose accadute alla mia gamba e alla mia caviglia e alla fine mi ha detto che, comunque sarei tornato a camminare bene nel giro di 4/5 mesi, sul correre, arrampicare eccetera eccetera non si è sbilanciato. Ho una ingessatura a tutta gamba che dovrò tenere per tre mesi, i miei genitori si sono precipitati a Feltre e oggi mi aiutano a rientrare a casa, Stefania è stata immensa sorbendosi 2 volte al giorno il tragitto San Martino-Feltre-San Martino pur di starmi vicina spesso col piccolo Nicolò che magari non si è nemmeno reso conto di tutto il bordello generato da quella che doveva essere una innocua gita in montagna. Ma è vero che la montagna se ne frega se sei esperto, abilissimo o che so io, se non sei SEMPRE attento rischi e io ho rischiato davvero tanto, tantissimo. Adesso siamo in partenza per Caldiero, poi da domani penseremo al lavoro vecchio e a quello nuovo e a tutto il resto, oggi sono riuscito a fare due passi con le stampelle e mi sembra già un gran successo. Mi sembra di essere rinato anche se so che sarà lunga..

Mercoledì 24 giugno 2020 – Caldiero (Verona)

Sono passati 22 anni, ma il ricordo è ancora vivissimo e qualche volta l’incubo della scivolata si riaffaccia di notte e io rivedo tutto il percorso fatto e il rischio corso. Per fortuna l’ortopedico di Feltre è stato un cattivo profeta: sono tornato a correre, ad andare in montagna, in mountain bike, ho addirittura imparato a nuotare qualche anno dopo. Oggi mi da un po’ di fastidio l’anca destra se la sforzo troppo, ma nulla di tale: ci sarà tempo per dedicarsi anche a lei, tanto oggi l’ortopedia fa miracoli. Ripenso spesso a quest’avventura e sono ancora li a chiedermi quale mano mi abbia guidato nella scivolata per far si che oggi possa raccontarvela.

P.S. L’escursione invernale ai Laghi del Colbricon con discesa verso San Martino di Castrozza dalla val Bonetta, resta una delle più affascinanti della zona (è splendida e “facile” anche d’estate) soprattutto d’inverno. Non dimenticate di mettere nello zaino una buona dose di prudenza, anche nelle situazioni più facili.

Un grazie immenso a Alfredo, Marco e Stefania, al Soccorso Alpino e al reparto ortopedia di Feltre.

SZ

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