Nella faggeta: il bosco magico! – Racconto breve di Stefano Zorzi.

di Stefano Zorzi

Mio babbo, buonanima, non è mai stato un gran camminatore, almeno nei miei ricordi. L’asma gli toglieva il fiato e le ginocchia non erano mai troppo salde da consentirgli grandi camminate; era altresì un’ottima forchetta, adorava i funghi e ricordo con nostalgia e piacere quando da piccolo mi ha introdotto, per la prima volta nella mia vita, alla faggeta. Il bosco magico.

Si passava una parte delle vacanze estive nella corte Giacomi a Fosse di Sant’Anna d’Alfredo, non proprio la località turistica più in di Verona, ma l’aria era buona, il posto dove abitavamo era quello che era ma erano tempi diversi in cui la comodità era stare assieme e il divertimento una partita a briscola, oppure la dama. Spesso c’erano anche i miei cugini, ma la distanza con loro si colmava con difficoltà, non solo per ragioni geografiche, che loro abitavano a Marmirolo, il paese di mia mamma, mentre io a Chievo, quartiere di Verona, ben prima che diventasse famoso grazie a quella macchina da soldi e fama che risponde al nome di calcio professionistico.

Erano tempi strani, molto meno mediatici di oggi e le esperienze e le conoscenze te le sudavi o sui libri o lavorando: a me piaceva un sacco studiare, immaginavo di diventare uno scienziato, ero curioso, mi piaceva scoprire e le “vacanze” in montagna erano un ottimo modo per sperimentare cose nuove; intanto in montagna si “lavorava” nel senso che tutti, ma tutti, villeggianti compresi, si era coinvolti nelle attività estive, quelle che si potevano gestire prima del rigore dell’inverno, che quarantacinque, cinquant’anni fa anche a mille metri l’inverno era lungo e rigido e bisognava essere formiche, piuttosto che cicale per poterlo affrontare in maniera adeguata. Così tutti ad aiutare se c’era da far fieno, o da riportare in stalla le mucche dopo il pascolo o magari, noi bimbi, si riusciva anche a salire su un trattore o si restava basiti a guardare l’erba falciata con quel trabiccolo a motore strano, la mitica BCS, che piano piano stava soppiantando la falce nei pascoli di montagna.

Probabilmente nessuno di noi immaginava che quel progresso, quelle innovazioni, quel nuovo modo di intendere la montagna, fosse l’anticamera delle enormi migrazioni verso la pianura, la grande città e la fabbrica. Ricordo che allora, tutte le contrade che circondavano Fosse e Sant’Anna d’Alfaedo erano abitate e vissute al contrario di oggi dove pochissimi sono i montanari autoctoni rimasti e le case sono spesso disabitate o utilizzate come case estive per lenire l’afa della pianura. Altri tempi: un minimo di nostalgia, ma giusto quella punta che fa sobbalzare il cuore.

Fu durante una di quelle vacanze che il mio vecchio una mattina decise di andare a cercare i funghi, nei giorni precedenti c’era stato caldo e la sera la pioggia aveva rinfrescato l’aria e creato quel microclima particolare “da funghi”. Quindi via, gli uomini di famiglia, con la mitica Fiat 600 bianca verso un bosco per me bambino, altrettanto mitico “le calcarole”.

La Lessinia, l’alta Lessinia in particolare ha caratteristiche morfologiche ben chiare e definite, soprattutto ad ovest il confine è sancito dalla fenditura della Val d’Adige che divide gli altipiani dai bastioni possenti del Monte Baldo. Tutto il lato ovest dell’Altipiano si butta a capofitto in Val d’Adige con una impressionante serie di pareti a picco dette in dialetto “senge”. I sollevamenti della crosta terrestre nei millenni precedenti hanno riempito di questi pericolosi burroni anche tutti i boschi dell’altipiano, così che le prime raccomandazioni di mio padre furono quelle di stare attento a dove mettevo piedi, per evitare buche e doline e precipizi. Era mattino presto e il bosco mi accolse con i noccioli che ne delimitavano il bordo esterno per poi sviluppare sempre più un ambiente davvero suadente e magico, dove i faggi, alti e slanciati sembravano dominare il bosco, dal sottobosco si alzava quel caratteristico profumo di humus e ciclamino che ti faceva camminare guardando estasiato le piccole radure aprirsi e i carpini tirare il loro collo verso la luce su in alto, dove i faggi slanciavano la loro chioma. L’umidità della notte si sollevava in forma di leggera nebbia dando al tutto un tocco candido suadente. Ogni rumore sembrava essere attutito dal morbido suolo che stavamo calpestando: sembrava uno di quei mondi fiabeschi di cui avevo letto in molti libri e immaginando provai a paragonarla alle giungle del Borneo descritte da Salgari nelle avventure delle Tigri di Mompracem, ma ovviamente il paragone non poteva reggere, anche se il penetrare sempre più nel bosco rendeva l’avventura assai interessante. Ad un tratto un rumore mi fece sobbalzare: un fruscio fra le foglie e la percezione di qualcosa, o forse qualcuno, che si allontanava in fretta: animale o folletto dei boschi, chissà? Mi voltai verso mio padre che mi disse: “Qui siamo ospiti, dobbiamo muoverci piano, ma dobbiamo avvisare della nostra presenza i padroni del bosco… così eviteremo di arrecargli fastidio…” e di rimando gli chiesi “Papà chi sono i padroni del bosco? Gli alberi?” La risposta fu illuminante: “Gli alberi, se mai, sono i guardiani del bosco; i veri padroni sono quelli che non vediamo ma sentiamo presenti. Sono gli animali: cervi, cinghiali, uccelli, serpenti, donnole, faine, tassi e tutte le altre specie che abitano la faggeta, compresa l’istrice, la volpe e chissà cos’altro” mentre parlava scostò con il bastone qualche foglia mostrandomi degli escrementi di animale e ammiccando continuò “Magari ci stanno guardando, magari sentono il nostro odore, e se noi abbiamo rispetto della loro casa, loro rispetteranno la nostra presenza.” Poi raccolse da terra un bastone adeguato alla mia altezza e mi invitò ad aiutarmi con quello per risalire un breve tratto in salita del sentiero che si apriva in mezzo ai faggi e ad un sottobosco sempre più rigoglioso. Superato il tratto di sentiero si apriva una piccola radura che non manco di farmi esclamare un “oohhh” di stupore, nella radura si alternavano i colori dei ciclamini dal profumo intensissimo e ai bordi vicino ad ogni albero che contornava la radura spuntavano funghi in gran quantità: le mazze di tamburo che cercavamo!! Scoprii poi, negli anni, che il fungo si chiama in realtà “Macrolepiota procera” ed è uno dei più noti funghi commestibili, oltre che davvero buono se cucinato alla griglia. Mio padre conosceva poche specie di funghi e raccoglieva solo quelli di cui era certo, facemmo incetta di Mazze tamburo e poi ci avviammo per il ritorno, avevamo camminato almeno tre quarti d’ora dentro il bosco e il ritorno, silenzioso e soddisfatto, mi permise di godermi la faggeta, adesso illuminata maggiormente dal caldo sole estivo che fendeva il fitto intreccio di rami. Nei punti più umidi del sottobosco brillavano del loro verde sfavillante delle enormi felci, i ciclamini erano dappertutto tanto che ne raccogliemmo un piccolo mazzo da portare a mia madre, che adorava quel fiorellino. I rumori del bosco aumentavano o sparivano al ritmo del nostro incedere: ci muovevamo ed era silenzio, se ci fermavamo qualche secondo ecco il cinguettio degli uccelli tornava ad allietarci l’attesa insieme a fruscii e movimenti furtivi che si arrestavano nel momento stesso i cui uno scarpone cadeva più pesantemente al suolo o il bastone picchiettava contro un sasso. Così con lo sguardo curioso ed estasiato di un ragazzino di 10 anni che per la prima volta ammirava la ricchezza del bosco, tornammo verso la mitica Fiat 600, riponemmo il bottino della giornata ritornammo soddisfatti in corte Giacomi, pronti ad assaporare i gustosi funghi appena raccolti.

Ho continuato ad andare per montagne da quella volta e ho avuto la fortuna e il privilegio di vedere tanti e tanti boschi spettacolari, però non c’è nulla da fare, la faggeta ha un fascino davvero particolare, un che di magico che la differenzia dalle abetaie e dalla macchia mediterranea, è davvero il bosco delle fiabe, quello in cui Cappuccetto Rosso sfida il lupo, Hansel e Gretel trovano la casetta di zucchero e Pollicino ricorda la strada con le molliche di pane per non perdersi. E’ il rifugio di Robin Hood e della sua banda di fuorilegge, è il regno del lupo e dell’orso che nella fascia climatica delle faggete trovano il loro habitat naturale a dispetto della presenza dell’uomo e della sua poca attenzione agli eco-equilibri, Ecco perché è davvero il momento di rivalutare le camminate nei boschi, nelle faggete in particolare. Tanto per restare nella provincia di Verona: basta fare un salto a Giazza (Paese Cimbro) e visitare il bosco delle Gosse per rendersi conto dell’ambiente boschivo della faggeta o risalire la valle di Revolto fino al Lagosecco per immergersi poi nella magia dei faggi degli “Orti forestali”, se poi volete guardare da vicino dei colossali faggi secolari è obbligatoria una visita al rifugio Dardo, sopra Erbezzo. Ma se volete veramente visitare una delle faggete più belle d’Europa e del mondo la visita obbligata è sul Pian di Cansiglio: l’altipiano incastonato fra le provincie di Belluno e Treviso è un’esperienza magica, percorrerlo a piedi, soprattutto nelle prime ore del mattino è davvero pura magia che nessun racconto può rendere al cento per cento. Chi ha avuto la possibilità di vistarlo sa a cosa mi riferisco: una foresta magica regno del cervo che ogni tanto si mostra ai visitatori. Ancora i contrafforti del “Monte delle Erbe” il Monte baldo, offrono la possibilità di attraversare faggete meravigliose e suggestive e anche la mezza costa del Lago di Garda da Punta San Vigilio a Torri del Benaco, offre rigogliose faggete da attraversare, sbirciando magari le incisioni rupestri traccia degli antichi abitanti del luogo. Poi spaziando in Italia: la foresta Umbra del Gargano, Le foreste Casentinesi, le faggete del Parco Nazionale dell’Abbruzzo, La faggeta vetusta di Cozzo Ferriero nel meraviglioso Parco del Pollino. Si tratta nella maggior parte dei casi di foreste facilmente accessibili, ad altitudini moderate che dal periodo primaverile a quello autunnale si vestono di una moltitudine di colori entusiasmanti al punto da toglier il fiato. Anche domenica mi sono rigenerato nella fresca ombra delle faggete del Baldo, sotto Novezza, una passeggiata di un paio d’ore immersi a tratti nel bosco e a tratti estasiati dalla meraviglia delle Creste del Baldo sgombre da nubi. Così vi consiglio un ottimo modo per investire una domenica estiva: visitare una faggeta. Scegliete un abbigliamento adatto e non dimenticate di mettere nello zaino il rispetto per l’ambiente circostante, moderate il tono della voce, cadenzate il passo e aprite occhi e orecchie: la magia della faggeta sta per cominciare! Ah, ricordate che la mia visita con raccolta di funghi e fiori nella faggeta delle Calcarole è datata metà anni 70: all’epoca la raccolta di funghi non era regolamentata come oggi e i fiori potevano essere raccolti senza vincoli. Oggi devono essere rispettate le norme vigenti che regolano la vita, e determinano la sopravvivenza, degli ambienti naturali: quindi munitevi di permesso per i funghi e i fiori fotografateli lasciandoli al loro posto. Buon cammino!

SZ

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