di Stefano Zorzi
Nella “pausa estiva”, chiamiamola così ho ascoltato, suonato e (ahimè) cantato davvero tanta, tanta musica. La più varia. Dai classici del rock’n’roll anni ’50-’60, ai classici italiani senza epoca, alla “mia” Americana (nel senso più vasto del termine), al rock più recente e moderno: un po’ di tutto insomma, non facendomi mancare neanche Mozart e un po’ di techno ( di qualità come affermano i miei pusher). Tutto questo ascoltare e leggere di musica mi ha fatto considerare alcuni dischi sotto una luce diversa e quando, tutto sommato casualmente, mi è capitato fra le mani LET LOVE RULE (1989) di Lenny Kravitz ho deciso di approfondire un po’ la conoscenza di uno degli artisti più amati/odiati sul globo terraqueo, uno che ha venduto milioni di dischi, che ha piazzato hit in tutte le più prestigiose graduatorie del pianeta: uno venerato dai fans come un genio assoluto della musica e altreattanto vituperato dai detrattori che lo tacciano di essere, fondamentalmente, un volgare opportunista che ha “copiato” dai grandi della musica.
Bella querelle, facile e difficile allo stesso tempo schierarsi da una parte o dall’altra della barricata; quindi come provare a sbrogliare la matassa? Partiamo da dei dati oggettivi: Lenny Kravitz è un ottimo polistrumentista: la sua formazione giovanile parte dal pianoforte e dal basso elettrico per poi sviluppare il suo talento con la chitarra e infine la batteria. Tutti suonati ad ottimo livello: i voti conseguiti alla Beverly Hills High School sono li a testimoniarlo.Autore di testi, arrangiatore e produttore di alta qualità, insomma diciamocelo: non in molti sul pianeta hanno sfoggiato il talento musicale di Lenny, oggi cinquantaseienne, nel corso degli ultimi 30 anni. Eh, affermano i detrattori, ma quando senti le canzoni sembra Prince, sembra Hendrix, sembra Lennon, sembra Curtis Mayfield, sembra i Rolling Stones, sembra Sly Stone, sembra… E se fosse solamente che le capcità musicali di Kravitz hanno filtrato in maniera personale le variegate influenze, che denotano sicuramente un ottimo gusto musicale, ricavandone una sintesi alla… Lenny Kravitz? Perchè il già citato, e consigliatissimo, LET LOVE RULE e il successivo MAMA SAID (1991) sono due album “originali” con canzoni assolutamente al livello dei modelli citati, che rendono chiaro quanto l’ispirazione e la competenza tecnica del nostro, affondate nelle radici delle, chiare, evidenti, influenze musicali di Lenny, possano generare pezzi di assoluto livello sia dal punto di vista compositivo che dell’arrangiamento, come d’altro canto mostrano anche i numeri relativi alle vendite, e l’effetto volano di questi album sui successivi. LET LOVE RULE e MAMA SAID, pur con la loro qualità non entrarono nella Top 30 di Billboard, ma trascinarono al numero 12 il successivo ARE YOU GONNA GO MY WAY? (1993), decisamente meno ispirato dei precedenti e al numero dieci il successivo CIRCUS (1995), trascinato dal singolo, fenomenale, Rock And Roll is Dead.
L’ispirazione degli ultimi due dischi non è delle migliori ma il pubblico apprezza lo schema compositivo e premia svariati pezzi con premi importanti. Ma il dubbio rimane, siamo sempre li a discutere se si tratti di genio o di opportunismo musicale.
E sono convinto che questa diatriba accompagnerà Lenny per sempre: troppo grandi e ingombranti i suoi riferimenti musicali per non creare disagio; per la verità più nel pubblico che nell’autore; Lenny incassa successi su successi: sperimenta l’elettronica in 5 (1998), ma con risultati non esaltanti, nonostante il grande successo di publico soprattutto europeo che lo consacra star di livello mondiale.
il successivo album LENNY (2001) esordisce al numero 12 della classifica di Billboard confermando un successo che va aldilà delle discussioni su genio o opportunista; si ma la qualità della musica? La qualità della musica è quella di un artista che fra Tour promozionali, tour veri, presentazioni e premi da ritirare, riesce a non farsi travolgere dal successo e dallo star system continuando a sfornare album dignitosi, anzi BAPTISM (2004) e IT’S TIME FOR A LOVE REVOLUTION (2008) tornano ad alzare l’asticella della qualità musicale, dando il là, dopo le celebrazioni per il ventennale di LET LOVE RULE, a quelli che saranno gli ultimi 3 album, per ora, del Nostro, in ordine cronologico; BLACK AND WHITE AMERICA (2012), STRUT (2014) e RAISE VIBRATIONS (2018).
Il primo recupera decisamente il taglio black music che aveva un po’ perso smalto da 5 in poi affrontando anche, seppur sotto-traccia, temi sociali che a brevissimo esploderanno negli States in tutta la loro brutalità. Più Prince, Hendrix e Sly Stone che Lennon insomma per un disco che da interlocutorio si trasforma in ponte, per la verità forse un po’ troppo lungo, verso STRUT, album decisamente più levigato e meno roots del precedente, con un piglio più pop, vicino alle sonorità beatlesiane (35 anni dopo…) e, paradossalmente senza funk, alle pista da ballo dei locali trendy.
Lenny si barcamena, insomma fra l’immagine e l’indole di rocker duro e puro e lo status di icona pop guadagnato negli anni, grazie ad un livello mediamente alto delle canzoni, alle immancabile ballads di stampo Stones, al funky alla Sly Stone e alla scrittura alla Lennon: perpetuando in questo modo il dubbio iniziale… Poi nel 2018 arriva RAISE VIBRATIONS: e al primo ascoltosi percepisce qualcosa di diverso, è un Lenny Kravitz, molto più Lenny oriented: molto meno impegnato a “giustificare” le sue influenze musicali, i suoi miti e i suoi ispiratori. Un Lenny Kravitz che. consapevole del suo status di star planetaria ritira fuori dal cilindro il coniglio della sua musica e con un disco onesto, sincero, con tanto soul e pochi lustrini torna a far pendere la bilancia, decisamente, sul lato del genio. D’altro canto con maestri ispiratori come i suoi il talento non può che essere quello del genio. O no?
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